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Secondo i sondaggi, dopo le elezioni del 25 aprile Giorgia Meloni potrebbe diventare il primo ministro italiano. La presidente del partito Fratelli d’Italia (FdI) sarebbe la prima donna in questa funzione e il secondo più giovane capo del governo italiano di sempre. Meloni dimostra meno dei suoi 45 anni ed è un fenomeno politico e mediatico. Piccola di statura, sembra una bambolina nella fotografia che la ritrae sospesa nelle braccia di Guido Crosetto, un simpatico King Kong piemontese che pesa il triplo di lei, insieme al quale ha fondato il partito nel 2012.
Meloni però è tutt’altro che una bambolina. Nei suoi comizi urla “Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana!”. Mai biglietto da visita fu più efficace. La frase è ormai leggenda, ripetuta in ogni comizio e martellata a tempo di rap nella clip “Io sono Giorgia - Remix” , visualizzato 13 milioni di volte - un misto tra esaltazione e parodia. Per il “lancio” di Meloni questa clip sarà forse ciò che fu il leggendario spot di Ridley Scott “1984” per il lancio del primo Mac della Apple.
“Io sono Giorgia” è anche il titolo della sua autobiografia, con il suo ritratto a tutta copertina. Anche la copertina del programma di Fratelli d’Italia è occupata da un suo ritratto seducente, come se fosse una rivista di moda. Ecco, Meloni è essenzialmente “di moda”. È lei il vero programma del partito. Nelle interviste su Meloni le persone rispondono più spesso “Mi piace” che non “Sono d’accordo”. Cresciuta alla Garbatella, la sua grinta popolana e il suo forte accento romano la fanno percepire come una genuina novità, diversa da “i politici attaccati al potere”. Riesce così a fare dimenticare che per una decina d’anni ha sostenuto i peggiori governi della Repubblica, quelli di Silvio Berlusconi, che la fece ministro della gioventù a soli 31 anni.
Nei dibattiti pubblici Meloni è pugnace, parla con decisione e appare preparata e credibile. Quindi, perché non darle una chance? Per rispondere occorre conoscere qualcosa del suo avvenire e del suo passato. Nell’avvenire di Meloni per l’Italia ci sono innanzitutto parole come Nazione, patrioti, difesa della Patria e dei confini nazionali (dai migranti irregolari), tradizione giudaico-cristiana, orgoglio italiano. Poi c’è l’obiettivo di rendere l’Italia una repubblica presidenziale. Ci sono infine alcune delle promesse elettorali. Per esempio: abolizione del reato di tortura (“impedisce agli agenti di fare il proprio lavoro”), “castrazione chimica” (per i responsabili di certe violenze), lotta alle “lobby LGBT ”, ottenimento più facile del porto d’armi , principio che “la difesa è sempre legittima ”, “blocco navale davanti alla Libia” contro gli immigrati irregolari, sequestro e affondamento delle navi che li trasportano, repressione delle ONG che salvano i naufraghi e sequestro delle loro navi, abolizione del reddito di cittadinanza (una legge del Movimento 5 Stelle che ha dato un piccolo sostentamento a quattro milioni di poveri), riduzione delle imposte ai più ricchi, “pace fiscale”, ossia condono delle piccole evasioni fiscali. Infine, sui manifesti della sua coalizione è scritto: ”Flat tax al 15%”. In realtà l’aliquota del 15% dell’imposta sul reddito varrebbe solo per la parte di reddito superiore a quello degli ultimi anni. Oltre a questo ci sono anche promesse su cui chiunque sarebbe d’accordo, che per questo ometto in questo contesto.
Nel parlare e urlare di Meloni c’è un’enfasi nazionalista, un accanimento verso soggetti deboli, una tolleranza verso la violenza della polizia e dei cittadini armati che si difendono da soli, l’assenza di ogni riferimento alla crisi ecologica. Pur essendo comuni ad altri partiti europei queste promesse hanno radici nel passato che ha forgiato il personale di Fratelli d'Italia, compresa Meloni. Vediamolo.
Meloni entrò a quindici anni nel Movimento Sociale Italiano Msi, il partito fondato nel 1946 da ex gerarchi del fascismo e il cui personale praticò e in parte pratica ancora il culto di Mussolini. “Credo che Mussolini sia stato un buon politico, vale a dire che tutto quello che ha fatto lo ha fatto per l’Italia” dice una Meloni diciannovenne in un reportage del 1996 della televisione France 3. Faceva eco al suo capo Gianfranco Fini, il quale disse che “Mussolini è stato il più grande statista del secolo” (1992) e che occorreva creare “il fascismo del 2000” (1988). Più che gli avversari, è lei stessa che afferma continuità con la tradizione del Msi e orgoglio per il suo simbolo: la “fiamma tricolore”. Questa fu disegnata nel 1946 dal fondatore del Msi Giorgio Almirante, ex dirigente fascista, collaboratore dei nazisti, ex redattore del giornale “La difesa della razza” (“La parola fascista ce l’ho scritta in fronte”, «Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti»). La fiamma tricolore è ancora nel logo del partito, nonostante quattro cambiamenti di nome. Alla senatrice Liliana Segre, vittima delle atrocità fasciste, che le chiede di togliere la fiamma, Meloni risponde: "Non c’è alcun motivo per togliere la fiamma dal simbolo di Fratelli d’Italia. Rappresenta la continuità con la storia di una destra repubblicana e democratica”. In questo caso però Meloni nega la vera storia del Msi, un partito che ha avuto un presidente criminale di guerra (il Generale Rodolfo Graziani), personaggi implicati in pestaggi, attentati, uccisioni, tentativi di colpo di stato tra i suoi presidenti o aderenti o simpatizzanti.
Il generale Graziani presidente del Movimento Sociale Italiano
Occorre chiarire un equivoco. A Meloni non si rimprovera - come lei dice - ciò che fece il fascismo, ma ciò che fa il neofascismo di cui lei fa parte da trent’anni. Per esempio, nel 2008 l’elezione del neofascista Gianni Alemanno a sindaco di Roma fu festeggiata sulla scalinata del Campidoglio (il Municipio romano) con saluti romani (il saluto fascista), camicie nere, e sventolio di bandiere con la fiamma tricolore.
Nel 2012, esponenti di Fratelli d’Italia (Ercole Viri, sindaco di Affile, e due assessori), hanno fatto costruire un sacrario in onore del Generale Rodolfo Graziani che nel 1953 e 1954 fu presidente del Msi ossia fu uno dei predecessori dell’attuale presidente Meloni. Graziani, però, fu anche altro. Detto in Etiopia “il macellaio di Fezzan” per le sue stragi, iscritto sulla lista dell’Onu dei criminali di guerra, Graziani fu responsabile della morte di migliaia di civili e soldati dell’Africa settentrionale e orientale, sterminati dai militari italiani tra le due guerre mondiali. Alcuni furono avvelenati con i gas iprite e fosgene, o assassinati in massa, o fatti morire in campi di concentramento, di fatto di sterminio. Si veda il film dove Graziani è protagonista Il leone del deserto (1980) con Antony Quinn, Rod Steiger e Irene Papas. La richiesta di estradizione presentata dall'Etiopia fu negata dall'Italia nel 1949. Fu invece processato e condannato a 19 anni di carcere per collaborazionismo con i nazisti anche se, fu scarcerato dopo quattro mesi.
Come è riuscito l’apparato di Fratelli d’Italia a nascondere l’essenza neofascista di Meloni e a farne una star? Il successo di questa operazione si basa su quattro fattori.
Primo. La personalizzazione femminile. Ai vertici di Fratelli d’Italia non c’è posto per le sorelle (a parte Meloni). in Italia non c’è partito più maschio, maschilista, antifemminista e anti omosessuali (i “froci”). Prima di Meloni, tutti i suoi presidenti sono stati maschi. La grande maggioranza dei dirigenti, degli aderenti, e degli elettori sono maschi. Eppure, i dirigenti del partito che stanno dietro Meloni, anziani fascisti o neofascisti, sono riusciti a far dimenticare la mascolinità del partito ritirandosi completamente dalla ribalta, sulla quale hanno lasciato, da sola protagonista, una donna graziosa e pugnace. Nessuna campagna elettorale in Italia è mai stata così personalizzata come quella per Meloni
Secondo. Il potere delle immagini. Il successo di Meloni si fonda più sulle immagini che sulle parole. I media sono sommersi dalle fotografie che la ritraggono. Spesso si contano in un solo giorno una decina di ritratti di Meloni nello stesso grande giornale in rete. Probabilmente l’apparato di Fratelli d’Italia inonda le redazioni con foto attraenti del suo presidente perché ha constatato che per le redazioni è più conveniente pubblicare fotografie gratuite che non pagare un reporter o un’agenzia. Inoltre, la grazia e i capelli lunghi e biondi di Meloni attraggono i redattori, come tutti i maschi italiani, e li spingono ad abbellire volentieri il giornale con questo soggetto.
Terzo. La manipolazione delle parole. “Centro-destra” è il nome usato dai media e da quasi tutti i politici per la coalizione tra Fratelli d’Italia (Meloni, 24% delle intenzioni di voto), Lega (Salvini 10%), Forza Italia (Berlusconi, 7%). In comparazione europea, però, Fratelli d’Italia e Lega, sono più a destra delle estreme destre europee, per esempio del Rassemblement National in Francia. Per questo la loro denominazione adeguata sarebbe “ultradestra” come la definisce il politologo olandese Cas Mudde nel libro Ultradestra (2020). Meloni si autodefinisce capo del “centro-destra”, però chiama con disprezzo “sinistra” il centro-sinistra.
Una ulteriore manipolazioni è quella del nome del partito: Fratelli d’Italia, infatti, è il nome ufficioso e la prima riga dell’inno nazionale italiano che quasi tutti conoscono a memoria, ossia è un bene pubblico di cui il “partito della fiamma” si è appropriato.
Quarto. La manipolazione dei numeri. Il “centro-destra” avrebbe venti punti di vantaggio sul “centro-sinistra”, dicono i media. In realtà, come avviene da decenni, la destra e la sinistra si attestano entrambe sul 40%. L’artificio del 20% di differenza risulta dal considerare “centro-sinistra” solo la coalizione del Partito Democratico con alcuni piccoli partiti (25%). Così però vengono oscurati gli altri avversari della destra: il Movimento 5 Stelle (15%) e altri partiti antifascisti (8%). Di conseguenza, anche le presenze televisive sono spesso squilibrate a favore di Fratelli d’Italia. RAI uno, per esempio, aveva organizzato per il giorno prima delle elezioni un “duello” finale solo tra Giorgia Meloni ed Enrico Letta (Partito Democratico). Quest’ultimo però rappresenta solo metà dei partiti avversi all’estrema destra, mentre Meloni rappresenta praticamente tutti i partiti avversi al centro-sinistra.
A pochi giorni dalle elezioni i sostenitori di Fratelli d’Italia sono in ebollizione. I più facinorosi (non sono pochi) forse preparano gagliardetti, camice nere e bandiere con la fiamma tricolore. Meloni prevede la rovina dell’Italia se vincesse la odiata “sinistra”. Gran parte dei commentatori, invece, prevedono al massimo una perdita di “fiducia dei mercati” nell’Italia. Forse l’ultradestra andrà al governo, ma certo non al potere. La pozione simbolo del fascismo fu l’olio di ricino, ma la pozione italiana dell’Italia è l’amaro Giuliani, che fa digerire tutto. Una cosa plausibile è che i saluti romani spariranno e gli ardimenti si spegneranno. Una cosa però è certa. Giorgia Meloni ha mischiato le carte nella politica italiana. È stata una sorpresa ben organizzata e potrebbe sorprenderci ancora, questa volta di testa sua, alla guida dell’Italia. Una vipera del suo partito (Meloni non è la sola donna) ha detto che “Meloni sbaglierebbe strada anche guidando un ascensore”. Invece l’ascensore guidato da Meloni l'ha già portata al penultimo piano. Ora promette che farà lo stesso anche con l’ascensore Italia.
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