Rampe e servoscala per disabili: come si dividono le spese? Chi paga se il condominio non approva i lavori?
Se in un condomino è presente uno o più disabili, è diritto di questi chiedere l’abbattimento delle barriere architettoniche e quindi l’esecuzione di lavori che possano consentirgli di raggiungere il proprio appartamento senza eccessivi ostacoli. Così potrebbe, ad esempio, essere installato un servoscala nell’androne o un ascensore laddove non presente. Oppure potrebbe essere predisposta una pedana alternativa ai gradini ove possa accedere anche una sedia a rotelle. Ma chi paga le spese per l’abbattimento delle barriere architettoniche? Potrebbe il disabile imporre tali lavori al condominio, con ripartizione dei relativi costi tra tutti i condomini, oppure è necessario sempre il consenso dell’assemblea a maggioranza? Ecco cosa prevede la legge.
Chiunque, compreso il soggetto diversamente abile, ha il diritto di poter accedere liberamente a qualsiasi edificio, non solo per il fatto di essere proprietario di una o più unità immobiliari, ma anche al solo fine di recarsi a visitare un familiare o un amico, o anche un semplice conoscente, nel proprio alloggio; né si può immaginare che una persona portatrice di handicap, che abbia necessità di qualsiasi tipo di prestazione (anche pubblica) non la possa ottenere non avendo la possibilità materiale di accedere all’edificio ove vi è chi materialmente può fornirgli quella prestazione, di qualunque natura essa sia.
Pertanto, è diritto di ogni condomino chiedere all’amministratore di indire un’assemblea affinché si decida l’esecuzione dei lavori necessari ad abbattere le barriere architettoniche. L’amministratore deve obbligatoriamente convocare l’assemblea se la richiesta proviene da almeno due condomini che rappresentino un sesto del valore dell’edificio. La questione può però essere posta all’ordine del giorno di un’altra assemblea, senza che vi sia necessità di indirne una ad hoc.
La decisione sull’avvio dei lavori spetta sempre all’assemblea.
L’assemblea può decidere l’esecuzione dei lavori in favore dei disabili per l’abbattimento delle barriere a maggioranza dei presenti che rappresentino, in prima convocazione, almeno metà dei millesimi dell’edificio (ossia 500 millesimi) e, in seconda convocazione, almeno un terzo dei millesimi.
Se l’assemblea approva i lavori, le spese verranno ripartite tra tutti i condomini (disabili e non), in proporzione ai rispettivi millesimi. La relativa deliberazione è valida anche nei confronti degli eventuali condomini dissenzienti, ed è obbligatoria pertanto anche per questi condomini che sono tenuti al pagamento delle spese delle opere deliberate in proporzione alla quota millesimale di loro competenza. Pertanto, il condomino che dichiari di non avere alcun interesse alle strutture in questione e di non farne uso non potrà esimersi dal contribuire con la propria quota.
Se l’assemblea non dovesse raggiungere il quorum necessario all’approvazione dei lavori o se – nonostante la richiesta avanzata dal portatore di handicap – non dovesse provvedere a deliberare l’avvio dei lavori entro 3 mesi, è diritto del disabile effettuare, a proprie spese, solo le seguenti opere:
Non occorre alcun titolo abilitativo per la rampa disabili e il Comune non può pretendere la deliberazione dell’assemblea condominiale.
In questo caso, le strutture in commento potranno essere utilizzate solo da coloro che hanno contribuito economicamente alla loro realizzazione. Resta diritto degli altri condomini, anche in un successivo momento, pagare la propria quota ed essere ammessi all’uso delle stesse.
La legge pone solo un vincolo all’abbattimento delle barriere architettoniche, che neanche il portatore di handicap potrebbe superare sostenendo a proprie spese i lavori: quando si tratta di innovazioni che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato.
Il DM n. 236/1989 art. 2 fornisce la definizione di barriere architettoniche specificando che sono:
Dovendo un edificio essere non solo accessibile, ma anche vivibile per tutti per le sue intrinseche funzioni, è entrata in vigore la Legge n. 13/1989 che definisce le «Disposizioni per favorire il superamento e la eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati».
L’intento del legislatore è proprio quello di superare dette barriere architettoniche; lo scopo è di permettere la vita di relazione anche a coloro che, pur disabili, hanno il diritto di potere liberamente accedere a tutti gli edifici, siano essi privati o pubblici, per poter svolgere i compiti e le funzioni proprie dell’essere umano.
Tra le indicazioni date dalla legge sulle opere che possono essere eseguite dal portatore di handicap, nell’inerzia dell’assemblea condominiale, non è elencato l’ascensore il quale tuttavia è un impianto che, di per sé, è sicuramente idoneo ad eliminare i più comuni ostacoli all’accesso alle abitazioni.
La Cassazione ha però affermato che l’installazione di un ascensore può rientrare nelle innovazioni approvabili dall’assemblea condominiale con le maggioranze viste sopra e che la realizzazione dell’ascensore non può di per sé porsi come pregiudizievole alla stabilità e alla sicurezza del fabbricato trattandosi di opera soggetta a specifici controlli per la prevenzione degli infortuni.
L’ascensore però non deve occupare tanto spazio da rendere difficoltoso l’utilizzo delle scale.
È vero che il legislatore ha voluto certamente favorire quelle innovazioni che aumentano la funzionalità e il valore dell’edificio (quale sicuramente può essere l’ascensore), ma ha contestualmente posto all’installazione di detto impianto il limite invalicabile dell’inservibilità della parte comune anche nei confronti di un singolo condomino, inservibilità che la Cassazione precisa «va interpretata come sensibile menomazione dell’utilità che il condomino ne ritraeva secondo l’originaria costituzione della comunione».
Non è detto pertanto che gli ascensori possano comunque essere installati, in ogni caso, con le maggioranze ridotte, come si è precisato sopra, poiché non sono certo ammissibili per l’installazione dell’impianto, ad esempio gravi menomazioni della larghezza delle rampe delle scale che il D.M. n.236/1989 stabilisce in una larghezza minima di mt. 1,20, o dimensioni dell’impianto di ascensore minori di quelle stabilite per l’adeguamento degli edifici pre esistenti.
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